12.1.09

Sciopero generale del sindacalismo di base (17/10/08)



Non possiamo lasciare che Governo e Confindustria
procedano con la loro offensiva!

Non possiamo lasciare un altro autunno di lotta risolversi nel nulla!

Divisi perderemo!
Unifichiamo dal basso tutte le vertenze e le mobilitazioni!


La politica fortemente reazionaria portata avanti dal governo sul piano interno
Da quando è arrivato al potere, Berlusconi si è contraddistinto, sul piano interno, per l’arroganza con la quale ha portato avanti una politica ultra-reazionaria. È vero che questo orientamento è in piena continuità con quanto era stato fatto dal governo Prodi-D’Alema-Ferrero durante più di venti mesi di governo. Le misure prese dal centro-destra si inseriscono in larghissima parte nel quadro legale costruito o lasciato intatto dal centro-sinistra, come nei casi del famigerato “pacchetto sicurezza” e della proclamazione dello stato d’emergenza sulla questione immigrazione. Per quel che riguarda altri provvedimenti scellerati, come ad esempio le impronte dei bambini Rom, non può essere taciuto come fossero stati preparati politicamente e ideologicamente dal centro-sinistra.
A cosa è funzionale questa valanga di misure ultra-reazionarie? Da una parte, a “rassicurare” la propria base elettorale e sociale attraverso una serie di provvedimenti eclatanti e spettacolari, mostrando i muscoli del “governo forte”; dall'altra, a dirimere le contraddizioni interne al governo, in cui i ministri giocano a contendersi la posizione più destrorsa. Esempio paradigmatico ne è lo scontro quotidiano fra Maroni e La Russa sul sangue, manco a dirlo, degli immigrati e delle classi subalterne.

Un cocktail di protezionismo, interventismo e ultra-liberismo economico che non soddisfa le prospettive di Confindustria e non è in grado di contrastare preventivamente l’impatto della crisi economica a vantaggio della borghesia
Sul piano economico, la politica del centro-destra si distingue da quella del centro-sinistra per l'“eterogeneità” delle misure prese, contrariamente a quelle che Prodi intendeva portare avanti per affrontare l'annoso problema della ristrutturazione complessiva del capitalismo italiano; una politica fortemente anti-operaia che, per imprimere un'accelerazione alla modernizzazione di intere aree economiche del paese, avrebbe lasciato sul marciapiede ampi settori della piccola borghesia. La politica di Berlusconi e Tremonti, pressati costantemente dalla Lega, si caratterizza invece per un mix di interventismo statalista (grandi opere), di protezionismo sciovinista (vicenda CAI/Alitalia) e di un ultra-liberismo della peggior specie (tagli alla scuola, Decreto Brunetta). Questa politica, tuttavia, non soddisfa le aspettative di Confindustria. Non che Marcegaglia non sia favorevole a una maggiore offensiva contro i lavoratori, come dimostra la vicenda della riforma contrattuale, ma si aspettava una maggior determinazione nell'affrontare la questione delle riforme, pari almeno a quella che Prodi aveva mostrato e che non è riuscito a mettere in pratica a causa delle divisioni interne del centro-sinistra. Questa mancanza di orientamento riformatore (a livello infrastrutturale, finanziario ed economico) non può che tradursi in un ostacolo ulteriore per la crescita quasi nulla del capitalismo italiano, che rischia di affondare ancor più sotto l'impatto della crisi economica; crisi che, a dispetto dei dinieghi del governo, è stata nei giorni scorsi “ufficializzata” da Marcegaglia.
Sul fronte sociale, l’irrigidimento del governo rispetto alla moltiplicazione delle questioni che in questo ambito si sono aperte, in assenza di una forte alleanza fra governo e sindacati istituzionali (come invece avveniva sotto il governo di centro-sinistra), potrebbe provocare una risposta sociale. Questo è un altro elemento di preoccupazione per Confindustria e uno dei motivi della sua diffidenza nei confronti dei settori più duri del centro-destra.

L’impatto dell'attuale crisi economica sull’economia italiana
L’andamento della crisi, che ha conosciuto provvedimenti inediti per salvare colossi bancari e assicurativi, dimostra che non ci troviamo di fronte all'ennesima bolla speculativa più o meno sganciata dalla cosiddetta “economia reale” (come nel 1986-1987 o nel 2000-2001 qualcuno poteva ancora sostenere). L’impatto della crisi USA ha già avuto le sue forti ripercussioni in Europa, contrariamente a quanto si sono affrettati a dichiarare i ministri dell’economia UE, che per rassicurare i risparmiatori tendono a contrapporre un capitalismo USA sfrenato e ultra-liberista a un sano modello europeo di economia sociale di mercato.
La crisi che comincia a colpire duramente i principali paesi di Eurolandia avrà ripercussioni molto forti sia nei paesi più deboli dell'Europa occidentale, come la Spagna e il Portogallo, sia in quelli economicamente più forti come l’Italia, la cui borghesia non è stata in grado di uscire dall’impasse economica della crescita debole che ha segnato il paese negli ultimi quindici anni.
In questo quadro, non possiamo che aspettarci un attacco sempre più feroce e generalizzato alle condizioni del proletariato e delle sue componenti più esposte, da quella giovanile a quelle del precariato e dell'immigrazione. Questa offensiva è necessaria perché si sono ridotti i margini di manovra dei diversi settori della borghesia italiana, che affrontano la crisi da una posizione più sfavorevole rispetto a quella dei colleghi francesi o tedeschi, i quali hanno saputo portare avanti negli ultimi anni riforme sostanziali sia sul fronte del welfare sia su quello dei processi di concentrazione e centralizzazione del capitale, che hanno permesso di aumentare, sebbene solo relativamente, la competitività delle due economie. Questo attacco sarà necessario nella misura in cui, a dispetto dell’illusione ottica che tende a far passare l’orientamento berlusconiano degli ultimi mesi come assolutamente vincente, negli ultimi anni le lotte del proletariato italiano non hanno subito alcuna sconfitta determinante, malgrado l'arretramento costante delle sue posizioni.
Questo riflusso, nonostante la ripresa della conflittualità di classe fra il 2001 e il 2005 sotto il secondo governo Berlusconi, ha tuttavia demoralizzato i lavoratori e rafforzato in qualche misura anche al loro interno un certo consenso per le ideologie e le politiche apertamente reazionarie. Non va però confuso riflusso reale relativo (anche se d’altronde esistono sintomi di recupero molto relativi della conflittualità operaia a livello internazionale), forza del governo e potenzialità della mobilitazione della classe. Già durante i primi mesi di governo, hanno trovato seguito alcuni importanti conflitti che hanno coinvolto settori della burocrazia sindacale (CGIL, CISL e UIL nel settore ferroviario) o che sono nate sotto l’impulso del sindacalismo di base (scioperi dell’estate nelle cooperative appaltate dalla DHL nel milanese), dimostrando quanto le ragioni di una possibile ripresa della conflittualità sociale siano rimaste immutate: contratti, salari, condizioni di lavoro.
Nelle ultime settimane, abbiamo assistito a un lenta ma decisa irruzione del movimento operaio e studentesco sulla scena nazionale. Se la coraggiosa lotta dei lavoratori di Alitalia è rimasta purtroppo isolata, nella scuola il forte malessere, acutizzato dalla riforma Gelmini, ha portato la protesta a diffondersi da poche scuole in lotta alla maggior parte degli istituti e alle università. Le numerosissime iniziative di lotta hanno infatti costretto i sindacati confederali a rivedere le loro posizioni dialoghiste e la stessa CGIL a proclamare lo sciopero per il 30 ottobre. Nel pubblico impiego, i provvedimenti Brunetta hanno generato non poca insofferenza, con assemblee e presidi in varie città che potrebbero tradursi, se i sindacati fossero all’altezza dell’offensiva sferrata dal governo, in un lungo percorso di lotta. Di fronte agli odiosi crimini e aggressioni razziste perpetrati dal braccio armato dello Stato, dalla borghesia mafiosa del Mezzogiorno o dai bottegai nel Nord, abbiamo assistito nelle ultime settimane all'inedito (in Italia) protagonismo di una nuova generazione di immigrati che hanno dato una prima risposta alla marginalizzazione e allo sfruttamento specifico di cui sono vittime. È anche in questo quadro politico e sociale, diverso rispetto a solo pochi mesi fa, che va analizzata la mobilitazione delle decine di migliaia di lavoratori e di giovani che l’11 ottobre a Roma hanno manifestato la volontà di tradurre su un terreno vertenziale la rabbia esistente contro governo e Confindustria, al di là della piattaforma politica genericamente riformista del comitato promotore e dei fini strumentali dei diversi clan dell’ex Sinistra arcobaleno. Questo clima sociale e politico segna un autunno le cui possibilità vertenziali potrebbero tradursi in un ampio movimento di lotta contro governo e padronato; il che è ancor più necessario se si considerano le cupe previsioni economiche che la borghesia intende contrastare chiedendo allo Stato una massiccia socializzazione delle perdite e un salvagente per i banchieri (spesso confusi con i capitani d’industria i quali, a loro volta, chiedono un pezzo della torta) e preparandosi a scaricare sulle spalle delle classi subalterne e del proletariato i costi della crisi.

Epifani è costretto a spostarsi a sinistra. Non rompe con lo schema del dialogo mortifero con governo e Confindustria ma fa contenti Rinaldini, Nicolai e Cremaschi
Come abbiamo già detto, la CGIL ha dovuto riposizionarsi sulla scacchiera politica sulla scorta del mutamento del clima sociale. Se prima dell’estate dialogava con CISL e UIL, con il governo e la Confindustria, l’arroganza del governo (Gelmini, Brunetta), le esigenze di Confindustria (la riforma contrattuale in particolare) e lo stato d’animo di alcune categorie di lavoratori hanno forzato Epifani a cambiare rotta e a virare un po’ più a sinistra ma non certo nella direzione della costruzione di un’agenda vertenziale che soddisfi le attuali necessità dei lavoratori. Alcuni esempi.
L’atteggiamento “intransigente” nella vicenda Alitalia/CAI, indotto dalla pressione dei lavoratori, si è tradotto nella firma di un testo che, di fatto, è una copia della prima stesura proposta da Fantozzi/Letta ma che ha consentito a Epifani di uscire dal conflitto a testa alta e, soprattutto, di mantenere in uno stato di isolamento la lotta dei lavoratori Alitalia. Questi, dopo un momento di grande combattività nel quale avevano rigettato la prima stesura dell’accordo, hanno dovuto fare marcia indietro, senza che il sindacalismo di base (CUB e SdL) sia stato in grado di rappresentare una reale alternativa alla CGIL.
La rottura del dialogo con Confindustria sulla questione della riforma contrattuale non è dovuta a un rifiuto della riforma in sé. Col crescere delle opposizioni interne al sindacalismo, che rispecchiano a loro volta il mutato stato d’animo di alcuni settori di lavoratori, se da un lato Epifani non poteva procedere come se nulla fosse nella distruzione del CCNL, dall'altro non ha fatto alcuna opposizione al mutamento peggiorativo del quadro contrattuale ma sta tuttora tentando di ammorbidire i contorni e l’applicazione della riforma, chiamando in campo per un’ennesima negoziazione governo, Confcommercio e Confartigianato per cercare di prender tempo giocando sull'eterogeneità di questi attori.
L’iniziativa “150 piazze” di sabato 26 settembre, pompata negli ultimi giorni seguendo una modalità squisitamente cofferatiana, mira a escludere un qualsivoglia coordinamento delle vertenze in atto e, a tal fine, delega alle strutture locali la gestione delle mobilitazioni: a seconda del grado di malcontento e combattività le iniziative variano dal semplice volantinaggio alla mobilitazione di piazza.
Come hanno dimostrato le ultime iniziative di lotta, solo la determinazione e la combattività degli insegnanti, appoggiati dall’“opinione pubblica” e dagli studenti medi e universitari, hanno saputo imporre una prima giornata di mobilitazione reale contro il governo attraverso lo sciopero del 30 ottobre. Questa vicenda dimostra quanto sia necessario uscire dalla logica delle azioni simboliche e innocue sul terreno delle mobilitazioni e del dialogo con il governo (che, peraltro, non intende dialogare affatto) per imporre la costruzione di un percorso reale di lotta. D’altronde, lo sciopero del 30 imposto dagli insegnanti indica anche la direzione verso un coordinamento effettivo delle lotte attuali e una riappropriazione da parte dei lavoratori delle proprie iniziative, uniche garanzie per far si’ che le vertenze in corso abbiano come obiettivo far piegare il governo e non negoziare il meno peggio.
Per il momento questo spostamento a sinistra sembra soddisfare i leader delle diverse opposizioni interne, da quelli più moderati a quelli più “duri”, il che mette in luce l’estrema limitatezza dell’orizzonte vertenziale in cui si muovono questi soggetti. Per il momento sembra anche che questo sia sufficiente a mantenere un certo controllo sui lavoratori che si stanno muovendo, ad esempio, quelli del pubblico impiego e, in particolare, della scuola. Tuttavia non è escluso che i confederali si vedano costretti a forzare la mano se la pressione esercitata dalle lotte dei lavoratori dovesse farsi più importante. Epifani, infatti, dice di non escludere uno sciopero generale. La riproposizione di una strategia cofferatiana sotto il terzo governo Berlusconi dipenderà dal grado di combattività dei lavoratori, dalla capacità della direzione della CGIL di gestire tale combattività e dalla capacità di quelle organizzazioni o tendenze sindacali che dicono di essere combattive, a cominciare dal sindacalismo di base, di proporsi come alternativa reale attraverso un percorso di mobilitazioni che sappia coordinare le vertenze in atto, estenderle e renderle più incisive, senza accontentarsi di misure simboliche e auto-referenziali (per quanto “intransigenti” possano sembrare) che non sono in grado di collegarsi con quegli ampi settori di lavoratori che potenzialmente potrebbero mobilitarsi.

Quale prospettiva per il sindacalismo di base
Le direzioni del sindacalismo di base (a cominciare da RdB-CUB, Cobas e SdL), insieme alle correnti politiche che agiscono al loro interno (a cominciare da Sinistra Critica, dal PCL di Ferrando e dalla Rete dei Comunisti), si trovano di fronte a un bivio. Già prima dell’estate sapevano perfettamente che un governo di destra, per di più capeggiato da Berlusconi, non poteva che suscitare una profonda avversione in settori consistenti del mondo del lavoro; e sapevano perfettamente che le riforme anti-operaie e anti-popolari del governo avrebbero potuto costringere le direzioni confederali a mobilitarsi per la pressione esercitata dalla loro base; il che avrebbe ridotto considerevolmente lo spazio di manovra politico e sindacale di chi si muove a sinistra. Di conseguenza, alcuni di questi sindacati di base (forzati anche dalla tendenza di alcuni loro settori militanti a volersi coordinare, soprattutto nel Nord) a maggio hanno organizzato un’assemblea a Milano per stabilire un calendario di mobilitazioni da realizzare in autunno, allo scopo di guadagnare preventivamente terreno sul piano delle eventuali mobilitazioni che il sindacalismo confederale o la sinistra radicale avrebbero potuto dirigere. Così, invece di trarre lezioni dallo scorso autunno di lotte (contro il protocollo Damiano), hanno né più né meno ripetuto gli stessi errori nell’organizzazione della stagione vertenziale ormai prossima. L'obiettivo dovrebbe essere quello di costruire un fronte di lotta il più vasto e incisivo possibile, fondato su una prospettiva di ampio respiro che sia davvero in grado di contrastare il governo e di sfidare la direzione CGIL sul terreno della sua “svolta a sinistra”, per partecipare in maniera unitaria alle mobilitazioni previste e denunciare l’orizzonte limitativo che i confederali vogliono imporre a queste mobilitazioni, proponendo un’altra rotta, autorganizzata, democratica e combattiva. Le principali direzioni del sindacalismo di base, invece, si contentano di stabilire a tavolino un calendario settario di mobilitazioni (per il momento quella del 17 ottobre e la manifestazione di metà novembre), che sta ben al di sotto delle necessità dei lavoratori ed è affatto incapace di dialogare con quei settori dei lavoratori che potrebbero cominciare ad entrare in azione. Quelle direzioni nulla fanno per creare dal basso un percorso di mobilitazione sui luoghi di lavoro e di studio, per consolidare un’alleanza trasversale fra lavoratori e fra lavoratori e studenti, indipendentemente dalle categorie e dalle appartenenze sindacali; e invece di approfittare del clima attuale, facendosi carico dei compiti che in questa fase si impongono, privilegiano accordi fra dirigenti (Cobas, RdB, CUB, SdL, Rete 28 aprile, Rete dei Comunisti, SC, PCL) che non si pongono in alcun modo sul reale terreno delle lotte. Le direzioni del sindacalismo di base mantengono buoni rapporti con la Rete 28 aprile, guardandosi bene dal richiamare Cremaschi a un'azione conseguente, costringendolo ad assumersi tutti gli impegni che una lotta unitaria comporta, al di là dei diktat di Epifani sulla “disciplina confederale”. Tuttavia, si rifiutano di partecipare alle vertenze e alle mobilitazioni in corso che non siano da loro capeggiate. Partecipare a tutte le vertenze attuali, anche quando si muovono in una prospettiva non del tutto soddisfacente poiché attualmente egemonizzate dalle direzioni confederali, dovrebbe essere l’obiettivo di tutte le organizzazioni che mirano a contendere alle direzioni riformiste la direzione dei settori più avanzati dei lavoratori, ponendo il problema dell’autorganizzazione democratica dal basso e della lotta intransigente contro governo e Confindustria, e a dialogare con quei battaglioni del mondo del lavoro che non sono entrati in azione.
Quando si trova invece a dover fare i conti con una mobilitazione in cui rappresenta una tendenza all'interno di un processo controllato dai confederali, l’orientamento del sindacalismo di base, molto radicale a parole, si trova anche lì ben al di sotto delle necessità delle vertenze. In occasione della vertenza Alitalia, per esempio, né l’SdL né la CUB, che avevano un peso importante fra i lavoratori, si sono fondamentalmente distinti da Epifani quando ha dovuto rompere il patto con CISL e UIL. In nessun momento della vertenza, SdL e CUB hanno portato avanti l’unica linea che avrebbe potuto condurre alla vittoria l’eroica lotta dei lavoratori Alitalia o, almeno, a ridurre al massimo i danni, facendo di quella lotta un vessillo per tutti i lavoratori e impegnandosi a costruire, nelle mobilitazioni, una rete di solidarietà fra i diversi settori del lavoro, facendo appello a circondare la lotta dell’Alitalia con la solidarietà di tutti i lavoratori, a cominciare dai settori più combattivi e da quelli in lotta. SdL e CUB hanno preferito mantenere aperti i canali del dialogo con il governo, con un tono leggermente più “radicale” di quello di Epifani ma senza alcuna prospettiva alternativa da offrire ai lavoratori.
In questo senso, lo sciopero del 17 ottobre, lungi dall'essere organizzato dal basso e controllato dagli stessi lavoratori, non si situa sul terreno del coordinamento delle lotte e della costruzione, attraverso un percorso assembleare locale e nazionale, di un realizzabile movimento di opposizione sociale e di classe che voglia realmente e coerentemente contrastare l’offensiva padronale e governativa. Nella realtà dei fatti, l’agenda “radicale” programmata mesi fa è stata completamente sovrastata dalle attuali mobilitazioni, che siano dirette dal sindacalismo di base o da quello confederale. Lo sciopero del 17 ottobre, che secondo gli organizzatori avrebbe dovuto segnare una prima tappa nella direzione della mobilitazione di metà novembre e che già al momento della sua programmazione mostrava tutti i suoi limiti, non è nient’altro che una data fra le tante che vedono i lavoratori protagonisti delle lotte come mai negli ultimi anni. Questa nuova realtà esigerebbe un'azione più audace da parte di chi dice di incarnare un’opposizione combattiva alle politiche del governo e di Confindustria.

Divisi perderemo! Unifichiamo dal basso tutte le vertenze e le mobilitazioni!
Le mobilitazioni attuali sono sintomatiche, da un lato, di un mutamento di stato d’animo nei lavoratori, che stanno cominciando a dire basta alle politiche del governo e, dall'altro, della volontà delle diverse direzioni sindacali di contrastare con ogni mezzo un eventuale processo di unificazione delle vertenze in corso, le cui rivendicazioni possono essere ricondotte a un'identica parola d’ordine: basta con gli attacchi ai lavoratori, difendiamo le nostre conquiste, uniamoci, lavoratori stabilizzati e precari, immigrati e italiani, giovani e studenti, per respingere ogni attacco di chi vorrà scaricarci sul groppone il costo della crisi capitalistica.
Non possiamo assistere impotenti per l'ennesima volta a una nuova stagione di mobilitazioni gestita da chi ha interesse che la rabbia e la combattività di milioni di lavoratori, facendo da sponda alle esigenze del PD, finiscano al rimorchio della borghesia “democratica” contro quella più destrorsa e berlusconiana o al rimorchio del cosiddetto “capitalismo produttivo e sano” contro quello finanziario e impazzito. Sono le due facce della stessa medaglia! Che la crisi la paghino i capitalisti!
Sarebbe responsabilità di tutte quelle correnti sindacali e politiche, che avevano affermato di non avere governi amici, lanciare una parola d’ordine di unificazione dal basso delle mobilitazioni e del loro coordinamento democratico, a prescindere dalle appartenenze sindacali e partitiche. Questa è l'unica condizione per costruire una lotta intransigente contro il governo e confindustria, che richiederebbe la creazione di un percorso che vada nel senso di uno sciopero massiccio e continuativo contro le politiche della borghesia: questo è l’unico percorso coerente e realizzabile se si vuole creare un fronte capace di contrastare la politica della borghesia. Quel che era necessario un anno fa lo è ancora più in questa fase della crisi.
È su questa base che intendiamo intervenire nel prossimo periodo.


Basta con gli attacchi ai lavoratori!

Difendiamo le nostre conquiste!

Esigiamo il fronte unico fra tutte quelle organizzazioni che dicono di volersi opporre alla politica del governo e del padronato per respingere l’offensiva reazionaria sferrata da Berlusconi e Marcegaglia e ogni attacco di chi vorrà scaricarci sul groppone il costo della crisi capitalistica!

Intanto, uniamoci e coordiniamoci democraticamente dal basso, lavoratori stabilizzati e precari, immigrati e italiani, giovani e studenti, per discutere delle modalità di una controffensiva sociale, per far sì che la crisi la paghino i capitalisti!


COLLETTIVO COMUNISTA VIA EFESO (ROMA) ­­ info@viaefeso.org / collcomunista.viaefeso@yahoo.it
Roma, 14/10/08, fotinprop Via Efeso 2a

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