12.1.09

Bush a Roma: contro la politica imperialista di Italia, USA ed Europa (12/06/08)



CONTRO LA POLITICA IMPERIALISTA DI ITALIA, USA E UE ­— A FIANCO DELLE RESISTENZE CONTRO TUTTE LE OCCUPAZIONI — L’ITALIA IMPERIALISTA NON FA MISSIONI DI PACE! FUORI LE TRUPPE ITALIANE DA OGNI AREA DI INTERVENTO!

Dopo la vittoria elettorale del 2006, l’ala della “sinistra radicale” dell’Unione aveva affermato che il governo avrebbe portato avanti una politica diversa da quella della seconda legislatura della Casa delle Libertà; i lavoratori, i giovani e i settori popolari hanno potuto constatare come il governo Prodi-D’Alema-Ferrero abbia promosso gli interessi del padronato meglio del Berlusconi bis, in primis varando una serie di misure anti-proletarie con la piena complicità delle direzioni sindacali confederali.

Oggi Bush torna a Roma. Torna a distanza di un anno dal grande corteo del 9 giugno 2007, che segnò anche una sconfitta della sinistra “radicale” di piazza e di Governo, la quale con l’intento di contrastare quella manifestazione, finì auto-reclusa nel suo scarno presidio a piazza del Popolo.

Anche sul piano della politica estera promossa dai settori più concentrati del padronato italiano, la visita di Bush ha il merito di mostrare una sostanziale continuità fra il governo Berlusconi e quello precedente. Lungi dal dimostrare una qualche sudditanza del centro-destra italiano a Washington o dell’Italia in generale alla “superpotenza” USA, le prime mosse di Berlusconi rivelano semmai che la borghesia imperialista italiana intende difendere i suoi interessi sul piano internazionale su due piani, sia nel quadro dell’Unione Europea sia in quello dei suoi rapporti con gli USA. Infatti, dopo aver ricevuto il presidente Sarkozy (artefice del nuovo Trattato di Lisbona dopo la morte clinica del Trattato Costituzionale Europeo di Giscard-D’Estaing) a poche settimane dall’inizio della presidenza francese dell’UE, il portavoce della borghesia italiana ha trattato anche con Bush. Tutto ciò è estremamente indicativo dell'attuale sistema di alleanze fra le principali potenze imperialiste.

Il presidente USA, seppur prossimo a lasciare la Casa Bianca, vuole garantire la continuità del coinvolgimento italiano nella “guerra permanente”, approfittando del nuovo clima politico e col beneplacito della Chiesa (visti gli ottimi rapporti confermati dalla recente visita di Ratzinger negli USA). All'ordine del giorno dell'incontro con Bush vi sono varie questioni, tra cui:
1. l’aumento dell’impegno militare italiano in Afghanistan: è sempre più difficile nascondere la partecipazione delle truppe italiane a vere e proprie azioni di guerra in quel territorio, come dimostra l’impiego della task force “45” nella “segretissima” operazione Sarissa a fianco delle forze alleate;
2. un eventuale riposizionamento della presenza italiana in Iraq, dove peraltro esistono forti interessi politici ed economici italiani, connessi alla presenza dell’ENI a Nassirya;
3. la questione dell’appoggio dell’Italia alla probabile guerra contro l’Iran che l’amministrazione Bush sta preparando mediaticamente ed economicamente da tempo, col sostegno di altri paesi europei e, soprattutto, di Israele, col quale l’Italia intrattiene già da tempo rapporti di finanziamento bellico;
4. il via libera all’ampliamento della base NATO a Vicenza, sbloccando lo stallo che i comitati di base “No Dal Molin” hanno imposto con una lunga battaglia popolare, nonché all’ampliamento di altre basi sul territorio italiano (per inciso: la questione va posta nel senso di una campagna permanente contro tutte le basi militari nel nostro paese, che siano tricolori, della NATO, americane o europee; per esempio: nella sempre più militarizzata Vicenza è presente da tempo la gendarmeria europea);
5. l’impiego di un numero sempre maggiore di soldati italiani in Kosovo, a difesa della sua secessione funzionale, ancora una volta, agli interessi strategici dei vari imperialismi, compreso quello italiano;
6. il coinvolgimento italiano nella costruzione dello Scudo missilistico, che inizia a prendere vita nei paesi dell’ex blocco sovietico, grazie anche a una più stretta collaborazione tecnologica ed economica fra le aziende dell’industria pesante (Finmeccanica, esempio fra tutte) dei rispettivi paesi.

Questioni queste che né McCain né Obama, che nel prossimo novembre si contenderanno la presidenza USA, intendono rimettere in gioco, nonostante l’establishment americano intenda chiudere l’era Bush rilanciando una politica estera più multilaterale di quella degli ultimi otto anni. Sull'altro fronte, l'incontro di Berlusconi e Sarkozy, finalizzato a un rafforzamento della collaborazione fra Parigi e Roma nel quadro europeo, testimonia che la borghesia francese e i settori più concentrati della borghesia italiana intendono giocare anche la carta europeista. In questa direzione vanno l’impegno di Sarkozy, (difeso da Berlusconi, Tremonti e Frattini) di rafforzare il polo di difesa europeo e lo stesso Trattato di Lisbona. Le attuali tensioni fra le capitali europee sono invece sintomo di una difficoltà sostanziale a raggiungere un equilibrio fra le grande potenze dell’UE, equilibrio ulteriormente ostacolato dalle attuali forti incertezze economiche del vecchio continente. In questo senso, i rapporti con Bush e Sarkozy saranno utilizzati da Berlusconi anche in chiave ricattatoria nei confronti di Berlino, in un momento in cui il governo di große Koalition CDU/CSU-SPD vorrebbe proporsi come soggetto egemone dell’attuale fase di rafforzamento dell'integrazione europea, in diretta concorrenza con il partner francese, che infatti reagisce con le misure protezionistiche e interventistiche ventilate da Sarkozy, che peraltro trovano eco all’interno del governo italiano.

Al di là delle contraddizioni sopra evidenziate, la politica estera promossa in queste prime settimane di governo da Berlusconi e Frattini, in piena continuità con quella di Prodi e D’Alema nella scorsa legislatura, non è nient’altro che l’espressione, sullo scacchiere mondiale, della politica reazionaria portata avanti dal governo sul piano interno.

Tale politica ha trovato immediata applicazione fin dalle prime misure varate dal governo, con la complicità dell’opposizione e la quiescenza delle direzioni delle confederazioni sindacali: caccia agli stranieri, criminalizzazione dei lavoratori immigrati e delle loro famiglie, attacco al pubblico impiego, messa in discussione del contratto nazionale di lavoro. La borghesia italiana ha bisogno di maggiori margini di manovra per superare la crisi, scaricandola sul proletariato e le sue fasce più deboli, sul piano interno, e rafforzando il suo impegno imperialistico all’estero. In questa prospettiva, l’offensiva interna è destinata a frammentare ulteriormente la classe, contrapponendo italiani e stranieri, comunitari e non, pubblico impiego e settore privato, precari e stabilizzati. Alla luce di tutto questo, le organizzazioni promotrici dell’appello alla manifestazione di oggi dovrebbero ritrovarsi sul terreno di una battaglia più generale, che miri all'unificazione di tutte le vertenze attualmente in atto: solo a questa condizione sarebbe possibile costruire nei luoghi di lavoro e di studio, nelle fabbriche e nelle imprese, una reale opposizione di classe al governo della borghesia e alla sua variante “ombra”: è l'unica via per respingere i futuri attacchi che non mancheranno di colpirci.

Per la costruzione di un polo antimperialista conseguente all’interno del movimento no war e dell’avanguardia di classe
Questi elementi pongono anche l'esigenza di un bilancio del movimento no war a sette anni dalla sua nascita. Bisognerebbe, a nostro avviso, porre la questione di un percorso di lotta più incisivo ed efficace per ostacolare la macchina bellica attivata dalle politiche guerrafondaie dei governi che si sono fin qui succeduti e che, in ultima istanza, trova il suo fondamento oggettivo nel funzionamento stesso del modo di produzione capitalistico. Bisognerebbe ripercorrere le tendenze più avanzate del movimento no war europeo, che si erano espresse proprio in Italia tra la fine del 2002 e il marzo del 2003, allorquando settori non minoritari della classe avevano cominciato a mobilitarsi, sul terreno della produzione, sulla questione della guerra. All’epoca, la Confederazione Europea dei Sindacati aveva cercato in tutti i modi di contrastare il propagarsi in altri paesi della mobilitazione italiana (in Gran Bretagna, Grecia e Spagna in particolare), nonostante la CGIL riuscisse in quel momento a contenerne le tendenze più avanzate manifestatesi in maniera paradigmatica con gli scioperi di Livorno e Genova o quelli nazionali del 23 marzo 2003.

Elemento fondamentale, a nostro avviso, è quello dell’elaborazione di una posizione di classe sull'azione esercitata da chi, sui fronti di guerra e di occupazione, si trova a contrastare le truppe imperialiste (quelle italiane in primis), in altre parole la questione delle resistenze alle occupazioni: schierarsi a fianco delle resistenze dei paesi dominati e controllati dai paesi imperialisti, a prescindere dalla natura delle loro direzioni, è condizione primaria della sconfitta delle truppe di occupazione e della liberazione nazionale e sociale di quei paesi. Sul fronte interno, ogni colpo inferto al nostro imperialismo nel suo cortile di casa o nei paesi da esso aggrediti si traduce in un oggettivo miglioramento del rapporto di forze esistente a favore del proletariato e pone le condizioni per una ripresa della conflittualità e dell’iniziativa di classe: è quanto ci hanno insegnato in tempi non così remoti le sconfitte della Francia in Algeria e del Portogallo di Salazar in Mozambico, Angola e Guinea, sconfitte dell’imperialismo senza le quali sarebbero state impensabili sia l’ondata di lotte del Maggio francese sia la Rivoluzione dei garofani. In questi anni, non aver costruito un polo conseguentemente antimperialista, che avrebbe oggettivamente messo fuori gioco le direzioni della “sinistra radicale” impegnate a coprire la politica imperialista di Prodi e D’Alema, rende più facili gli odierni tentativi di Ferrero, Vendola, Rizzo e Diliberto di riprendere piede all’interno del movimento no war; è probabile che lasci anche spazio alla burocrazia sindacale per cavalcare un’opposizione di più ampio respiro nel caso di una possibile ondata di mobilitazioni contro il governo, come è avvenuto sotto i primi due governi Berlusconi.

In questa fase è necessario e centrale:
1. combattere affinché la classe esprima tutto il suo potenziale di incidere anche sul piano della politica estera del governo italiano attraverso la strutturazione di misure di forza concrete e generalizzate, quali scioperi e azioni sui luoghi di produzione;
2. combattere affinché la classe riconosca la legittimità politica di chi resiste all'occupazione militare imperialistica, a partire da quella di casa propria.

Siamo ben consapevoli di quanto sia difficile organizzare questi passaggi; quel che è certo è che chiunque ritenga di schierarsi contro il proprio imperialismo deve riconoscere che questa posizione è indissociabile da una lotta più complessiva alla propria borghesia, al di là delle differenze politiche talvolta rilevanti, per costruire all’interno del movimento no war una tendenza di giovani e operai che vada al di là di un generico ed elementare pacifismo e che sia schierato contro le politiche di saccheggio, guerra e miseria generate dagli imperialismi nordamericano e italiano. In caso contrario, nella migliore delle ipotesi, ci si mette al servizio delle direzioni della sinistra radicale, che fino a poco tempo fa votava in Parlamento e nel Consiglio di ministri i crediti di guerra e che, oggi, vuole rifarsi una verginità politica, ricompattando la sua base sociale per meglio negoziarla elettoralmente e canalizzando il movimento nel caso in cui dovesse rinvigorirsi per arginarne al suo interno le tendenze più avanzate.

È con questa intenzione che scendiamo oggi in piazza. È su queste basi che invitiamo tutti i compagni del movimento no war e del movimento operaio che si situano su un terreno conseguentemente anti-capitalistica e anti-imperialista, che siano schierati contro le politiche guerrafondaie portate avanti oggi da Berlusconi come ieri dai suoi predecessori di centro-sinistra e della sinistra radicale, a discutere collettivamente delle modalità concrete di un intervento unitario su questo terreno.
discutiamone: GIOVEDI’ 19 GIUGNO – ORE 20,30
via Efeso 2/a – (Metro. B - S.PAOLO Basilica)

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