12.1.09

La caduta del governo Prodi 20/02/08

La caduta del governo Prodi.
Appunti sulla debolezza relativa della borghesia italiana e sui compiti per l’avanguardia di classe.

Il governo Prodi è stato in carica per circa 20 mesi. Per quasi due anni l’Esecutivo ha potuto portare avanti senza difficoltà una politica anti-proletaria sul piano interno, con un attacco generalizzato alle condizioni di vita dei lavoratori (italiani, immigrati, pensionati, precari ecc.) e di difesa dei propri interessi imperialistici sul piano internazionale, con iniziative diplomatiche e missioni militari più o meno mascherate, con l’appoggio totale della cosiddetta “sinistra radicale”. Prodi non è caduto “da sinistra” ma per l'iniziativa parlamentare di alcuni senatori dei partiti minori del centro della coalizione, dovuta al concentrarsi di frizioni che rimandano alla difesa di interessi di bottega. Si è dunque trattato di un “regolamento di conti” interno alla stessa borghesia, tra magistratura e pezzi dell’Esecutivo. La maggioranza ballerina dell’Unione in Senato ha fatto sì che, mentre Prodi aveva ottenuto la fiducia alla Camera, la defezione di un partito di centro del tutto marginale come l’Udeur (definito da Confindustria “uno di quei micropartiti dotati di poco consenso ma di grandi e inaccettabili poteri di veto”) unita a quella di altri (alcuni senatori del “gruppo Dini” ecc.) ha fatto cadere la maggioranza alla Camera alta.
Condizionato da parte dell’ala destra della coalizione, il governo Prodi-D’Alema-Bertinotti non è riuscito a portare fino in fondo il piano di quelle “riforme strutturali e liberiste”, la cui attuazione è stata uno dei motivi per cui aveva ottenuto l’appoggio di Confindustria e che il precedente governo di centro-destra si era rivelato incapace di realizzare. L'ultima crisi di governo e le sue cause sono il segno rivelatore dei grandi problemi strutturali e istituzionali, tra loro intrecciati, che la borghesia italiana e la sua frazione egemone, il grande capitale, a tuttora non sono state in grado di risolvere.

Una maggioranza risicata in Senato: Porcellum e crisi d’egemonia politica
Il “porcellum” (la legge elettorale varata ad hoc dal centro-destra per “salvare il salvabile” quando ha capito di avere perso l’appoggio di quasi tutto il grande capitale) non ha permesso all’Unione di ottenere in Senato una maggioranza pari a quella della Camera, e questo malgrado il sostegno in campagna elettorale della maggioranza delle “forze vive” del paese e dell’establishment europeo (Confindustria, settori più liberali del Vaticano, intellighenzia, burocrazia sindacale, stampa borghese nazionale ed estera ecc.). A questo proposito, bisogna anche sottolineare che lo stesso grande capitale, nel manifestare il proprio sostegno a Prodi, si è però rivelato incapace di far valere la propria egemonia sui propri settori subalterni, cioè la piccola e parte della media borghesia, che, come si è visto, in maggioranza hanno appoggiato il centro-destra. Le elezioni di aprile hanno lasciato un paese diviso a metà e hanno rivelato, più che una “crisi della politica” esplosa negli ultimi mesi, una forte incapacità dei settori a più elevata concentrazione capitalistica di esercitare una forte egemonia politica.

Incapacità di avanzare sul fronte delle riforme strutturali del paese
La bassa produttività e la bassa competitività che caratterizzano l'economia italiana non sono legate tanto a problemi di sfruttamento e pressione sulla forza-lavoro (in questo la grande borghesia italiana non è seconda a nessuno) ma a un insufficiente livello di concentrazione e centralizzazione del sistema capitalistico sia nei settori industriale e commerciale sia in quello bancario. Ai problemi strutturali che ne derivano (livelli inadeguati del capitale investito, anche nei settori chiave della ricerca e dello sviluppo, insufficienza delle infrastrutture, peso eccessivo della piccola e media impresa) si aggiungono le zavorre delle clientele e dei settori capitalistici “illegali”, poiché, al di là del loro intreccio con il grande capitale, costituiscono spesso un intralcio a suoi interessi complessivi (come dimostra, per esempio, la questione “mondezza” riemersa in questi giorni in Campania). Nel corso dell’ultimo decennio, quindi, sebbene la borghesia italiana abbia fatto passi da gigante sul piano dell’offensiva anti-operaia e anti-popolare (a livelli inediti anche in Europa per precarizzazione del mercato del lavoro e flessibilità della manodopera), i dati macroeconomici dimostrano (con crescita del PIL e livelli di competitività e produttività tra i più bassi del Dopoguerra) che la ristrutturazione complessiva del sistema capitalistico italiano è ancora inadeguata alle esigenze dettate dal contesto di crisi e di competizione internazionali. In altre parole, in Italia è mancato un Governo capace di esercitare un ruolo paragonabile, per esempio, a quello svolto in Gran Bretagna dalla Thatcher, la quale non solo ha potuto liquidare la dura resistenza della classe operaia ma ha potuto anche “rifondare” il capitalismo britannico a spese del tessuto produttivo e commerciale della piccola borghesia, che peraltro rappresentava un pezzo fondamentale della base sociale dei Tories.

Forza sociale e instabilità istituzionale del Governo Prodi: debolezza strutturale della borghesia italiana
Una delle caratteristiche principali del governo dell’Unione sta nell’essere il risultato della convergenza tra partiti e partitini del centro-sinistra, partiti della cosiddetta “sinistra radicale” e appoggio totale delle burocrazie sindacali confederali. Questo mix micidiale ha permesso al Governo Prodi di disinnescare le lotte sindacali e sociali e quelle dei movimenti, nonostante la sua dura politica anti-proletaria e in virtù della cappa di piombo imposta dalle direzioni sindacali e politiche sulle lotte dei lavoratori e sui “movimenti”, che in passato avevano invece cavalcato perché funzionali alla loro offensiva anti-berlusconiana (soprattutto nel 2002-2003). La “sindrome del governo amico” ha pesato indubbiamente anche sul livello di autonomia espresso dai movimenti, come pure sulle scelte di quelle organizzazioni sindacali e politiche che se, da un lato, dicono di situarsi al di fuori delle logiche del centro-sinistra, dall'altro, pretendono di esercitare una pressione “da sinistra” sulla gestione del capitalismo italiano (a questo proposito, si rimanda alla lettura del documento sul Protocollo Damiano). Il risultato è sconfortante: il 2006 ha fatto registrare la più bassa conflittualità sociale degli ultimi anni.
Mentre il Governo avanzava velocemente sul fronte anti-operaio e anti-popolare, il suo tentativo di portare avanti le riforme strutturali era paralizzato in Senato dalla maggioranza ballerina. In questo quadro, la riforma elettorale ha ovviamente scatenato gli istinti più bassi dei partitini clientelari eredi della prima Repubblica (Dini, Udeur ecc.) e dei partiti di nicchia, espressione di categorie sociali ben determinate (Lega Nord), mentre il centro-destra berlusconiano ha messo a frutto questa situazione per guadagnare tempo nelle negoziazioni apertesi con il PD su questo tema.

Una crisi politica che covava
La questione dei rifiuti in Campania è una delle manifestazioni della mancata soluzione dei problemi strutturali, nel caso specifico quello del Mezzogiorno e della sua gestione borghese ma anche dell’intreccio bassolinismo-Camorra. Prima del voto in Senato minacciava di trasformarsi in una crisi politica nazionale con la sfiducia nei confronti di Pecoraro Scanio ma, peggio ancora per la borghesia italiana, a trasformarsi in crisi politica nazionale è stato l’effetto dell’accusa alla moglie di Mastella, in ultima istanza clientelismo e corruzione. In ogni caso, il Governo Prodi è stato bloccato sul fronte delle “riforme di struttura” ed è caduto sulle “tare” che risalgono all’epoca della I Repubblica, cioè sempre sui problemi strutturali e istituzionali che la II Repubblica non è stata in grado di superare né sanare.

Elezioni anticipate o governo istituzionale: inquietudine e preoccupazione di Montezemolo e di Bruxelles
Come abbiamo visto e com'era prevedibile, né i problemi strutturali irrisolti né la debolezza istituzionale del Governo hanno significato un cambiamento del rapporto di forza complessivo tra borghesia e proletari a favore di questi ultimi, anzi. È vero invece che l’attuale crisi governativa e, più in generale, istituzionale, sotto i colpi delle forti tensioni economiche sul mercato mondiale, potrebbe acutizzare ancora più la crisi strutturale del capitalismo italiano, rendendo ancora più vitale per la borghesia un ulteriore attacco ai proletari. Appare allora evidente che l'organizzazione di una controffensiva da parte della nostra classe è ancora più urgente e necessaria.
Le ragioni per cui non siamo stati in grado, come classe, di approfittare di queste debolezze sono a nostro avviso principalmente due:
· la partecipazione della cosiddetta “sinistra radicale” al Governo e la stretta collaborazione della burocrazia sindacale confederale hanno giocato un ruolo importantissimo. Va detto in proposito che, se la logica di “sinistra di lotta e di governo” (la politica del PRC fin dalla sua nascita), portata alle sue estreme conseguenze, doveva produrre dei vantaggi per la classe malgrado le “dure scelte” da assumere (missioni di guerra, Vicenza, Welfare ecc.), la crisi attuale dimostra ancora una volta la bancarotta ideologica della sinistra socialdemocratica italiana (cfr. caso Caruso);

· in minor misura ma con un maggior grado di responsabilità considerando il loro schieramento politico, le ragioni di questa situazione vanno cercate anche sul fronte della sinistra “classista” politico-sindacale, a cominciare dallo stesso sindacalismo di base: nella misura in cui queste direzioni hanno privilegiato una logica di pressione e hanno indirizzato le lotte sulla base di questa stessa strategia, hanno finito per portare i movimenti in un vicolo cieco. Anche in questo caso va detto che, se alcuni apparati di quel settore pensavano di approfittare di uno scollamento della base sociale della “sinistra radicale” dalla sua dirigenza e dalle confederazioni sindacali per occupare lo spazio politico lasciato vacante, ricollegandosi al vecchio discorso keynesista della “Rifondazione delle origini”, sia il risultato delle elezioni RSU sia lo stato attuale dell’estrema sinistra dimostrano che questa strategia non ha dato alcun frutto.

In questi ultimi mesi non si è costituita nessuna alternativa in un fronte unico con tutti quei settori insoddisfatti della politica del Governo e disposti a lottare in difesa delle proprie condizioni di vita e di lavoro; nessuna alternativa che sia in grado di intervenire all’interno delle mobilitazioni oggettivamente anti-governative che si sono svolte nell'ultimo periodo, per dare ad esse una continuità vertenziale ma anche per far maturare al loro interno gli aspetti più soggettivamente anti-governisti e rafforzare un polo di classe rivoluzionario in Italia. In realtà sono la destra e l’ala centrista che hanno saputo trarre vantaggio dalle debolezze del Governo, quando la politica del centro-sinistra creava le condizioni per un preoccupante rafforzamento del populismo di destra nel paese.
In questo quadro, soprattutto con la prospettiva delle pressioni sul “voto utile” che nuovamente e inevitabilmente si innescheranno con le elezioni anticipate, è auspicabile la costruzione di una grande assemblea nazionale che metta a confronto quanti si sono espressi negli ultimi mesi in chiaro dissenso con la politica del governo e dei padroni, italiani e immigrati, lavoratori, precari, studenti e compagni provenienti da ogni situazione di lotta, che dovrebbero farsi portavoce di un’istanza di dura opposizione di classe alla politica di pacificazione sociale messa in atto da venti mesi a questa parte dalla sinistra di governo e dalle burocrazie sindacali: la borghesia non esiterà a scaricare ancor più sulle spalle della classe e delle periferie del mondo il peso della crisi e delle frizioni tra i blocchi imperialistici, anche per il tramite di chi blatera di “alternativa di sinistra”, “difesa degli interessi dei lavoratori” o “anticapitalismo” mentre, nei fatti, fa tutto il contrario.

Roma, 20 febbraio 2008

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