28.4.09

La crisi e la CGIL (04/04/09)


Riportiamo qui sotto il volantino distribuito alla manifestazione della CGIL il 4 aprile


LA CRISI LA PAGHI IL SIGNOR PADRONE!

Non serve a nulla chiedere una “vera politica anticrisi”. Non si tratta di chiedere piu’ investimenti; di dare ancora piu’ soldi al capitale. Si tratta invece di difendere, con le unghie e con i denti, i nostri salari e le nostre vite.

C’E’ UNA UNICA STRADA: LOTTE DURE, DECISE E DURATURE,
CHE FACCIANO VERAMENTE MALE AI PADRONI!

ANDIAMO OLTRE LE MANIFESTAZIONI OGNI 3 MESI E GLI SCIOPERO SIMBOLICI!

UNIFICHIAMO OGNUNA DELLE NOSTRE SINGOLE VERTENZE
IN UNA LOTTA GENERALE, UNICA E TRASVERSALE
CONTRO CONFINDUSTRIA E GOVERNO.

CONFINDUSTRIA E GOVERNO STANNO SCARICANDO LA CRISI SULLE SPALLE DI NOI LAVORATORI. LE RICHIESTE DELLA DIREZIONE DELLA CGIL (NUOVA POLITICA DI INVESTIMENTI, SGRAVI FISCALI E QUALCHE SUSSIDIO) NON SONO ALTRO CHE LA RIPROPOSIZIONE DELLA STRATEGIA DI CONCERTAZIONE CHE CI PORTERA’ SOLO ALLA SCONFITTA.

PER DIFENDERCI DALLA CRISI C’E’ UNA UNICA STRADA:
1. AL POSTO DI MANIFESTAZIONI E SCIOPERI FATTI UNA VOLTA OGNI 3 MESI, DOBBIAMO COSTRUIRE LOTTE DURE, DECISE E DURATURE, CHE FACCIANO VERAMENTE MALE AI PADRONI!
2. UNIRE QUESTE LOTTE IN UNA VERTENZA GENERALE CONTRO CONFINDUSTRIA E CONTRO IL GOVERNO.


La crisi è sotto gli occhi di tutti. Il terremoto che sta scuotendo il sistema è così profondo che ormai tutti gli analisti lo paragonano alla crisi del 29.

In tutti i paesi a pagare il prezzo più alto siamo noi lavoratori e lavoratrici, quelli che per primi e più di tutti la crisi la sentono sulla propria pelle, in prima persona.

AL G20 DI LONDRA, i grandi del mondo sono veramente d’accordo su due cose soltanto. Scaricare il prezzo della crisi sulle spalle di noi lavoratori, e reprimere ogni opposizione, a cominciare dai manifestanti.
Infatti le principale potenze imperialiste di cui fa parte l’Italia non sono riusciti a mettersi d’accordo su un gran che. Tutti i paesi, tendenzialmente, provano a salvare quello che possono, cioè i propri interessi capitalistici, a scapito di quelli dei loro concorrenti, in una lotta al coltello per sopravvivere ognuno a scapito dell’altro.
Il primo punto di vero accordo che però hanno trovato è questo: tutti condividono in ultima istanza la strategia secondo la quale i costi della crisi vanno scaricati sul groppone del proletariato e delle classe subalterne: esubero, licenziamenti, congelamenti o addirittura abbassamenti salariali. come è avvenuto con i lavoratori del pubblico impiego in Irlanda, dove però questo ha portato a importanti mobilitazioni dei lavoratori contro il Governo. Mobilitazioni che si ripetono in questi giorni., La Grecia, dopo la rivolta dei mesi scorsi, è stata scossa nuovamente l’altro ieri da un potente sciopero generale; la Lettonia, dove in reazione alle misure antiproletarie, di lacrime e sangue, ci sono state manifestazioni di massa e duri scontri a Riga, la capitale, che hanno portato alla caduta del governo.
Il secondo punto di accordo trovato da lorsignori è questo:
Com’è già avvenuto in precedenza a Genova nel 2001 anche questa volta erano tutti d’accordo per dare pieno appoggio alla polizia del Governo di sinistra del laburista Gordon Brown, che ha represso spietatamente i giovani manifestanti no global, portando alla morte di uno di loro. A Strasburgo, in occasione delle prime manifestazioni contro il Summit della NATO è la polizia di Sarkozy a “raccogliere il testimone” inglese, arrestando 300 manifestanti. Da questo punto di vista, le ricette non sono cambiate: maggiore repressione contro chi manifesta contro questo sistema fatto di miseria e sfruttamento, ormai neanche più capace di offrire una occupazione ai membri di quella classe dal cui lavoro i padroni estraggono la propria ricchezza, ai lavoratori salariati, i quali, in pieno XXI secolo, sono ancora alla condizione di schiavi, la cui vita dipende da quanto sono utili ai profitti del padrone.

ITALIA: una situazione economica a rischio crack, che preoccupa i settori più lungimiranti della borghesia.
In Italia la situazione è pesante. È solo grazie alla complicità della stampa e alla insignificante opposizione fatta dal centro-sinistra che Berlusconi riesce a occultare dietro discorsi vuoti la profondità della crisi e la situazione catastrofica delle finanze italiane che preoccupano enormemente la borghesia europea. Gli analisti seri non escludono affatto un possibile collasso dell’economia italiana probabilmente innescato dai paesi dell’Est Europa, verso i quali le grandi banche italiane sono fortemente esposte: la rapina perpetrata dal capitale finanziario e industriale italiano sulla pelle dei lavoratori di quei paesi potrebbe ritorcersi contro banche e imprese nel caso in cui uno di quegli anelli deboli dell’Europa del capitale venisse a saltare; possibilità tutt'altro che remota considerando la catastrofe economica che li sta colpendo.

BERLUSCONI risponde alla crisi con una valanga di misure antioperaie preventive…
Il governo prova a metterci qualche pezza, regalando soldi alle imprese e alle banche; ma contemporaneamente accompagna l’ondata di licenziamenti nel privato e le ristrutturazioni del settore pubblico con l’adozione di misure antioperaie preventive in caso in cui le tensioni sociali dovessero acuirsi. Il decreto antisciopero o la xenofobia di Stato contro gli immigrati non hanno altro scopo che quello di indebolirci, seminando divisioni tra i lavoratori del settore pubblico e quelli del privato, tra quelli a tempo indeterminato e i precari, tra i pensionati e i giovani, tra gli occupati e i disoccupati, tra gli italiani e i lavoratori immigrati.
La scelta fatta dal governo è ormai chiara. Reprimere preventivamente ogni forma di dissenso. Lo hanno sperimentato già gli operai di Pomigliano, gli studenti della Sapienza o, per prendere l’esempio di un’altra lotta esemplare di questi anni, i lavoratori di ATESIA, il più grande call center d’Europa, che sono stati messi, oggi, sotto processo dalla DIGOS per uno sciopero fatto a giugno del 2006. [vedi retro]
Queste misure, peraltro, preannunciano il giro di vite che si vuole applicare alle lotte dei lavoratori.

LOTTARE SUL SERIO, si deve e si può. Prendiamo esempio dalle lotte più avanzate.
In Europa comincia a sentirsi l’eco di lotte dure e radicali: in Francia si moltiplicano gli esempi di manager e padroni sequestrati dagli operai; nelle colonie francesi delle Antille si vince una lotta grazie a quasi due mesi di sciopero.
Anche se il rapporto di forza da quasi trent’anni ormai è favorevole alla borghesia, i provvedimenti, presi spesso per decreto, del Governo, non vanno però scambiati per una onnipotenza del governo stesso. Queste misure denotano al contrario un forte nervosismo della classe padronale di fronte a quel che potrebbe succedere se scoppiassero lotte dure in Italia.
Il governo ha gli occhi rivolti a quel che succede in Europa. Sa benissimo che anche qua potrebbero accadere le stesse cose. Oltralpe, in una piccola fabbrica appaltata che produce telai nella periferia di Parigi, la STPM, gli operai con picchetti e con uno sciopero a oltranza sono riusciti a impedire i licenziamenti. In questi giorni, in multinazionali di ben altre dimensioni come la Sony, la 3M o la Caterpillar, gli impiegati non hanno esitato a sequestrare i quadri dirigenti per lottare contro gli esuberi. Il governo francese, almeno per ora, è stato costretto ad adottare un “profilo basso” di fronte a questi fenomeni di insubordinazione operaia duri come mai si erano visti negli ultimi vent’anni, poiché è uscito sconfitto dalle ultime grandi vertenze sociali che hanno scosso le sue
colonie delle Antille (Caraibi) tra fine gennaio e inizi marzo. In Guadalupa e in Martinica i lavoratori hanno ottenuto, tra altre cose, un aumento di 200 euro netti dopo uno sciopero durato ininterrottamente per 44 nell’un caso e per e 38 giorni nell’altro.

INCOMINCIAMO AD UNIFICARE E COORDINARE LE VERTENZE E PORRE IL PROBLEMA DEI METODI DI LOTTA
Contro il tentativo di Epifani di usare le mobilitazioni per riaprire tavoli di trattativa nei quali non c’è nulla da trattare, unificare e coordinare le vertenze e porre il problema dei metodi di lotta
Ovviamente non è solo Sarkozy a temere che si insidi nella testa dei lavoratori l’idea secondo la quale non si può ottenere nulla né per combattere gli effetti della crisi e senza lotte collettive, radicali e durature.
Anche qua in Italia negli ultimi mesi si sono mobilitati ampi settori di classe e la mobilitazione di oggi testimonia del malcontento diffuso che esiste nella nostra classe.
Purtroppo queste lotte coraggiose sono rimaste isolate e marginalizzate dalle direzioni sindacali e a volte, anche addirittura tradite.
Basta pensare al caso dell’Insee-Presse a Milano (metalmeccanici): per mesi gli operai metalmeccanici prima con picchetti e poi con l’occupazione della fabbrica e la sua messa in produzione sotto il controllo dei lavoratori hanno dimostrato come si poteva lottare contro i licenziamenti. Purtroppo, al momento dello sgombero a febbraio, erano quasi da soli di fronte ai cancelli.
All’Alitalia, le migliaia di lavoratori e lavoratrici che si sono rifiutati di accettare lo scellerato accordo CAI sono stati traditi dalla direzione nazionale della CGIL che alla fine dei conti, invece di trasformare la battaglia dei lavoratori di Fiumicino in una lotta esemplare contro il governo e i suoi amici investitori hanno firmato l’accordo, seppellendo la lotta.
Vi sono settori in cui è presente, da mesi e in vari gradi - una mobilitazione diffusa: pubblico impiego, scuola, università e ricerca, metalmeccanici, ecc. Ugualmente vi sono numerose lotte locali o aziendali esuberi e licenziamenti. Ma ognuna di queste lotte viene condotta separatamente, viene lasciata isolata. La responsabilità di questo ricade su quelle direzioni sindacali che si rifiutano, anche quando esistono le condizioni, di collegare tutte le lotte e dare loro una continuità.
A che può servire limitarsi solo agli scioperi ed alle mobilitazioni “una tantum”, ogni due mesi?
Ed anche: perché limitarsi solo ai referendum contro gli accordi ( come l’ultimo contro l’accordo separato)? I referendum vanno benissimo come punto di partenza per “lanciare” una lotta, ma è ovvio che da soli non possono respingere questi accordi e costringere il Governo al dietro front.
Limitarsi agli scioperi “una tantum” e ai referendum può effettivamente servire a Epifani che vuole tornare al tavolo delle trattative col Governo, ma di certo non serve gli interessi dei lavoratori. Anzi, alla lunga logora invece la combattività latente in vari settori (ad esempio nel Pubblico Impiego, dove, contro l’attacco micidiale del Governo non è stata proposta nessuna lotta reale delle 9 categorie) e quindi potrebbe portare, in assenza di uno sbocco verso una lotta generale e dei risultati concreti, ad una pericolosa demoralizzazione.

Non possiamo e non dobbiamo lasciarci trasportare, ogni 2 o 3 mesi, da una mobilitazione nazionale all’altra, mentre le vertenze di ogni categoria sono lasciate isolate (ben 9 sono i comparti in cui dividono gli statali con rinnovi contrattuali separati, invece di metterli tutti insieme in un unico fronte di lotta); mentre nelle vertenze locali, in ogni fabbrica, in ogni azienda, i lavoratori sono lasciati a combattere isolati di fronte al padrone.
Queste pseudo forme di protesta (non di lotta) vanno bene se si ha (come Epifani e la direzione nazionale della CGIL) come obiettivo quello di tornare ai tavoli, di riprendere il filo del dialogo col Governo. Un dialogo impossibile nelle attuali condizioni, al quale sia Marcegaglia che Berlusconi, Sacconi e Brunetta sono impermeabili.

Di fronte alla crisi attuale, ci vuole una risposta di ben altro respiro, una lotta le cui condizioni oggettive esistono oggi e non possono essere sacrificate sull’altare di una riproposizione della concertazione che, come quella degli accordi del ’93, ancora oggi riproposta come modello da seguire dalla direzione della CGIL, ci ha portato al disastro attuale.
Servono delle lotte coordinate e unificate in vista di una vertenza generalizzata contro Governo e padroni.
La responsabilità di fare o non fare queste cose, di indicare o non indicare questa strada da seguire, di unificare i milioni di lavoratori italiani in una lotta generalizzata e reale, ricade in particolare su quelle direzioni che, ovunque, sia all’interno della CGIL che al suo esterno, dicono di voler lottare per non farsi ancora una volta calpestare dal Governo.

Esigiamo ognuno di noi dal proprio sindacato, che ci si organizzi in maniera trasversale, al di là delle sigle sindacali, le categorie e le tipologie contrattuale, per costruire quelle vertenze dure e durature che fanno paura ai padroni. Incominciamo a fare questo organizzandoci noi stessi da soli e dal basso, insieme ad altri lavoratori, senza aspettare che ci qualcuno ci dia il
permesso.


CONTRO LA CRISI E CONTRO I GOVERNI DEI PADRONI C’E’ UNA UNICA SOLUZIONE : UNIFICARE LE SINGOLE VERTENZE IN UNA LOTTA GENERALE DI TUTTI I LAVORATORI. UNA LOTTA CHE, PER AVERE RISULTATI E RESPINGERE GLI ATTACCHI DI GOVERNO E PADRONATO, DEVE ESSERE PER FORZA DURA, DECISA E DURATURA

Roma, 04/04/09

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