28.4.09

Intervista a JM Nomertin (13/03/09)


«Quella che ha avuto luogo in Guadalupa, durante le ultime settimane, è una battaglia che ha preso la forma di uno sciopero generale e che tutti i proletari del mondo possono recuperare!»


Intervista a Jean-Marie Nomertin, operaio dell’industria bananiera, segretario generale della Confédération Générale des Travailleurs de Guadeloupe (CGTG, Confederazione generale dei lavoratori della Guadalupa), portavoce del Lyannaj Kont Pwofitasyon (LKP, Alleanza contro lo sfruttamento), dirigente di Combat Ouvrier[1]. Realizzata il 13 marzo 2009.

Qual è stato il grado di partecipazione dei lavoratori e dei giovani guadalupesi a questa vostra battaglia?

Lo sciopero generale è stato lanciato il 20 gennaio 2009. Molto rapidamente, tutti i settori chiave dell’economia sono stati bloccati, anche con l’ausilio di picchetti alle entrate degli stabilimenti. Possiamo affermare con certezza che la partecipazione dei lavoratori allo sciopero generale è stata superiore all’80%. Per fare solo qualche esempio: i trasporti pubblici avevano smesso di funzionare, tutta la grande distribuzione ha dovuto chiudere, analogamente a tutte le zone industriali e commerciali, alle scuole, ai licei e alle facoltà universitarie, alle banche, alle Poste e Telecomunicazioni, alle società assicurative, ecc.
Tuttavia, va rilevata una particolarità di questo sciopero generale. Nonostante l’EDF (la società produttrice di elettricità) e la rete di distribuzione idrica fossero paralizzate dallo sciopero, la tattica adottata dal Lyannaj Kont Pwofitasyon (LKP, Alleanza contro lo sfruttamento) e, in particolare, dai sindacati che ne facevano parte è riuscita ad evitare che l’acqua e l’elettricità venissero tagliate, in modo da non penalizzare la popolazione. In maniera simile, nonostante la grande distribuzione commerciale fosse stata bloccata, la rete dei piccoli e medi distributori è stata messa in condizioni di funzionare nel campo dell’alimentazione; anche in quel caso, con l’obiettivo di evitare problemi supplementari che avrebbero pesato sulla direzione dello sciopero, l’LKP. Ancora, analogamente, per tutta la durata dello sciopero la distribuzione del carburante è rimasta sotto il controllo degli scioperanti, che ne chiudevano o riaprivano il flusso in funzione delle necessità del movimento.
Questo per dire quanto la partecipazione dei lavoratori a questo sciopero generale sia stata imponente. I giovani, che rappresentano circa la metà della massa dei disoccupati, si sono uniti in maniera massiccia al movimento. A seconda dei giorni, si sono viste manifestazioni con un numero di partecipanti che oscillava fra le 10.000 e le 40.000 persone, cifre enormi, se si tiene conto che l’isola conta in tutto 450.000 abitanti.
L’altro aspetto connesso alla partecipazione dei giovani ha riguardato il fondamentale contributo d’azione che essi hanno dato quando l’LKP ha deciso di bloccare completamente il paese chiamando la popolazione ad erigere barricate su tutti gli assi stradali. A quel punto, i giovani hanno dato prova di una tenacia e di una combattività esemplari di fronte alle forze della repressione che tentavano di smantellare le barricate. Va inoltre rilevato come, col passare dei giorni, le manifestazioni di piazza si siano fatte via via più numerose grazie alla partecipazione di migliaia di donne desiderose di unirsi al movimento.
Questo movimento, che aveva preso inizialmente la forma di uno sciopero generale dei salariati, si è trasformato col passare dei giorni in un immenso movimento popolare, che ha raccolto strada facendo tutti gli strati più poveri, i disoccupati, i pensionati, gli handicappati, gli emarginati della società. Hanno fatto la loro comparsa non solo rivendicazioni salariali classiche, 200 euro di aumento per tutti i bassi salari (cioè per la maggioranza dei salariati), ma anche rivendicazioni riguardanti l’abbassamento dei prezzi, il rispetto della dignità del popolo guadalupese e l’ostilità verso la minoranza bianca, i «béké», costituita da una manciata di discendenti dei proprietari di piantagione schiavisti, che possiede la gran parte dei mezzi di produzione della Guadalupa e della vicina Martinica.
I manifestanti non si stancavano mai di gridare che «la Guadalupa ci appartiene, e che non appartiene invece agli sfruttatori, e che questi non potranno più continuare a fare ciò che vogliono nel nostro paese».
È un chiaro segno della potenza dell’azione di classe dei lavoratori quello di aver potuto costituire l’ossatura e l’avanguardia di un grande movimento sociale che ha scosso realmente la Guadalupa e che, in seguito, si è esteso alla vicina Martinica.

È la prima volta che un movimento di tale portata prende corpo in Guadalupa?

In passato, abbiamo avuto importanti scioperi generali e potenti movimenti sociali, per esempio nel 1971 (scioperi dello zucchero e della canna, scioperi del settore edilizio, ecc.) e nel 1985, per protestare contro un’ingiustizia di tipo coloniale (il caso Faisans[2]), quando i manifestanti hanno occupato per una settimana la principale città della Guadalupa, erigendo barricate in corrispondenza di tutte le vie di accesso a Pointe-à-Pitre.
Abbiamo conosciuto anche il grande sciopero dei lavoratori delle piantagioni di banane, guidato dalla CGTG, nel 1998 (al quale ho preso parte come responsabile del sindacato dell’industria bananiera), uno sciopero che ha consentito ai lavoratori del settore di strappare una mensilità di salario supplementare alla fine dell’anno e il pagamento per i giorni di sciopero.
Ma il movimento del gennaio 2009 è stato il primo che è riuscito a far sì che risalissero in superficie e si riversassero nelle strade tutti gli strati più poveri della popolazione, sintomo evidente di una rabbia e di una situazione economica sempre meno sopportabile per le masse povere e lavoratrici.
Il potere e la classe possidente capitalista sono sembrati completamente isolati e non hanno trovato molte persone disposte a sostenerli e a giustificarne le azioni. L’esperienza che le masse guadalupesi hanno vissuto lascerà tracce profonde, poiché esse hanno preso coscienza delle proprie capacità, hanno preso coscienza del fatto che lo sciopero di massa rappresenta un potere incomparabile, dinanzi al quale ogni ostacolo è destinato a crollare.
Infatti, dopo l’ottenimento dell’accordo che ha aumentato di 200 euro i salari situati fra l’1 SMIC (salario minimo fissato dal governo) e l’1,4 SMIC, accordo che è stato firmato inizialmente solo da una parte del padronato, per lo più dal piccolo e medio padronato nero, il grande padronato bianco si è rifiutato di firmare. A quel punto, tutte le imprese che non avevano sottoscritto l’accordo sono state investite da una nuova ondata di scioperi, accompagnata da manifestazioni chiamate «grève marchante» («scioperi camminanti»). Oggi, giorno dopo giorno, questi scioperanti stanno obbligando i rispettivi padroni a firmare. Anche questa è una delle conseguenze di lungo periodo dello sciopero generale.

Da parte di alcuni è stato sottolineato il carattere «nuovo» del movimento guadalupese, mentre a noi sembra che la «novità» abbia a che fare con forme di lotta in realtà molto classiche (sciopero a oltranza, assemblee generali, picchetti, ecc.) alle quali il padronato e la stampa non sono più abituati. È così?

Questo movimento non ha avuto un carattere «nuovo». Piuttosto, esso ha ripreso e portato avanti una tradizione operaia e rivoluzionaria che consiste nell’opporre frontalmente e in maniera coordinata tutte le forze della classe sfruttata al padronato.
Il fatto che sia stato possibile mettere in piedi un simile movimento in Guadalupa è una conseguenza dell’indebolimento e della scomparsa pressoché totale delle vecchie burocrazie sindacali! In particolare, della burocrazia stalinista che guidava la CGTG, che era in precedenza un sindacato membro della CGT francese e che pertanto, come quest’ultima, è stata diretta per anni da militanti stalinisti provenienti dal Partito Comunista Francese. Tuttavia, a partire dagli anni ’70, una serie di scissioni interne al Partito Comunista della Guadalupa, sotto la pressione di sentimenti autonomisti e anticoloniali, ha provocato un indebolimento di questa dirigenza. Un gran numero di militanti appartenenti alla CGT, reagendo alla mancanza di combattività della direzione sindacale, si è allora raggruppato all’interno di sindacati nazionalisti che hanno portato alla creazione dell’Union Générale des Travailleurs Guadeloupéens (UGTG, Unione generale dei lavoratori della Guadalupa). Qualche anno dopo, in seguito a varie difficoltà, il resto della CGTG è passato sotto il controllo di una nuova direzione, ispirata dai militanti trotskysti di Combat Ouvrier, del cui gruppo dirigente faccio parte anch’io. Di fatto, il sindacato si è risollevato, e oggi l’UGTG e la CGTG sono le due organizzazioni sindacali più importanti, sono estremamente combattive, e ciò permette ai lavoratori di esprimersi liberamente nelle loro lotte contro il padronato. Sono anni, ormai, che i lavoratori guadalupesi, non essendo più tenuti a freno da nessuna burocrazia, danno prova di un’autentica combattività in scioperi parziali o di settore.
Questi due sindacati hanno sempre auspicato la messa a punto di una piattaforma comune, in vista di una lotta di massa, riguardante la totalità delle rivendicazioni e che individuasse il proprio avversario nell’insieme del padronato. La parola d’ordine era: «insieme lotteremo, insieme vinceremo».
I sindacati hanno colto un’opportunità nel momento in cui hanno percepito la crescita di un malcontento prossimo all’esasperazione riguardo al livello del prezzo del carburante. È stato a partire da quel malcontento che essi hanno proposto a tutte le organizzazioni popolari, ai sindacati, alle organizzazioni politiche, alle associazioni culturali, alle associazioni di consumatori, di inquilini, ecc., di raggrupparsi in seno a una grande alleanza contro lo sfruttamento, l’LKP! Attualmente, tale raggruppamento è composto da 48 diverse organizzazioni.

In che misura i lavoratori mobilitatisi hanno potuto controllare e dirigere la propria lotta?
Sin dall’inizio del movimento i dirigenti dell’LKP hanno raccolto un sostegno e una fiducia indiscutibili. Nel momento in cui è poi cominciata una trattativa che ha messo uno di fronte all’altro i rappresentanti dell’LKP, guidati da Elie Domota (UGTG) e dal sottoscritto, quelli dello Stato francese, quelli della classe dirigente guadalupese e quelli del padronato, le varie fasi del negoziato sono state trasmesse in diretta televisiva e radiofonica. Tutta la popolazione ha allora, per così dire, fatto conoscenza con la direzione dell’LKP e si è riconosciuta nelle parole e nei comportamenti di Domota che denunciava il «dominio di classe e di razza».
Da quel momento in poi l’LKP ha diretto il movimento senza mai apparire, nemmeno per un momento, in contraddizione o in affanno rispetto ai sentimenti e alla volontà di lotta delle masse. L’LKP è rimasto fino alla fine la guida incontestata del movimento. L’originalità di questa direzione, data dal suo essere costituita da un enorme raggruppamento di organizzazioni, ciascuna delle quali conservava la propria specificità, permetteva inoltre ad ognuna di esse di radunare i propri sostenitori e di fare loro un resoconto di ciò che stava accadendo. In tal modo, ad esempio, la CGTG teneva quotidianamente un’assemblea aperta a tutti i lavoratori per fare il punto della situazione e discutere della linea da sostenere all’interno dell’LKP.
Di fronte alla sede dell’LKP, il Palais de la Mutualité di Pointe-à-Pitre, si teneva quotidianamente un’immensa assemblea generale che culminava la sera in un meeting in cui si faceva il punto della situazione della lotta. La direzione si faceva allora carico delle rivendicazioni e dei bisogni delle masse, ne organizzava la lotta, si sforzava di non deluderle. Ma, in tutte le fasi della protesta, è rimasta al suo posto di comando, non essendo mai stata contestata; da allora il problema di una direzione alternativa non si è più posto.
In nessun momento sono comparsi delegati o rappresentanti legittimi dei lavoratori in lotta da associare alla direzione della lotta stessa. Questa è stata, d’altro canto, una delle debolezze del movimento, perché nessuno sa quali traguardi sarebbero stati possibili se una siffatta direzione della lotta fosse stata messa in piedi, facendo da moltiplicatore dell’iniziativa di massa e arricchendola!
Eppure, ad altri livelli, i lavoratori avevano un controllo diretto di certi aspetti della lotta, ad esempio per quanto riguarda i picchetti o le barricate stradali, nel momento in cui si è deciso di fare ricorso ad esse.
Possiamo dunque affermare che la direzione dell’LKP ha agito costantemente sotto lo sguardo vigile e sotto la spinta delle masse in lotta, che essa ha fatto spazio in ogni momento ai desideri e alle aspirazioni delle masse, ma che queste ultime non hanno mai tentato di imporre dei rappresentanti usciti direttamente dalle loro fila. La direzione LKP rifletteva evidentemente il livello raggiunto dalla lotta, ed essa non è mai stata scavalcata, marginalizzata o rimessa in discussione.
Abbiamo però dovuto constatare che non è stato possibile portare ad effetto molte iniziative in realtà auspicabili a causa della ristrettezza della direzione dell’LKP, nel senso del numero oggettivamente esiguo di persone che vi hanno preso parte. Nello specifico, sarebbe stato possibile, in diversi ambiti, passare a comportamenti più offensivi, più creativi, all’atto pratico istituendo una forma di iniziativa popolare, qualcosa di simile a un «potere» popolare, indipendente dal potere ufficiale e in grado di contestarlo. Ciò si è effettivamente verificato limitatamente all’amministrazione dei bisogni della popolazione in materia di alimentazione, di approvvigionamento del carburante, di istruzione, di rapporto con la popolazione contadina, ecc. Ma perché tutto ciò venisse fatto in maniera più ampia e in tutti i settori, sarebbe stata necessaria la comparsa su larga scala di rappresentanti eletti delle masse in movimento.
L’interesse e la grande ricchezza di uno sciopero generale quale quello cui abbiamo assistito risiede per l’appunto nel fatto che esso ci consente, oggi, di comprendere in maniera più concreta quali siano i problemi di direzione e di organizzazione delle masse che si pongono nel quadro di una lotta di così ampio respiro. Si è trattato di una sorta di preparazione, di una «prova generale» prima del prossimo scontro! Ciò significa che la prossima lotta partirà già da un trampolino, rappresentato dallo sciopero di gennaio-febbraio 2009, dal quale sarà allora possibile raggiungere un livello superiore, ponendo a quel punto un altro genere di problemi al potere in carica, in particolare quello della sua legittimità!

Quando è sembrato che, dopo circa sette settimane, in particolare nel momento più alto dello scontro, verso la metà di febbraio, il confronto fosse esclusivamente fra i lavoratori e l’LKP da un lato, e il padronato e i «mamblos» (i celerini coloniali) dall’altro, l’LKP non avrebbe potuto cominciare a rimettere in questione le strutture del potere neo-coloniale (che continua a perpetuare sfruttamento e oppressione, e questo a dispetto dei cambiamenti intervenuti dopo il 1946), del potere politico borghese che sembrava virtualmente scomparso di fronte alla forza d’urto del conflitto?

Ciò è stato fatto costantemente dalle organizzazioni politiche e sindacali della Guadalupa… La lotta poteva forse spingersi al di là degli obiettivi che si era data con il programma di rivendicazioni dell’LKP? La risposta è contenuta nel corso stesso degli eventi! Non era ai dirigenti dell’LKP che toccava andare più o meno lontano; sono state le stesse masse in mobilitazione che hanno stabilito, e stabiliscono tuttora, gli obiettivi da raggiungere.
Non è una questione che si possa decidere meccanicamente dall’oggi al domani, quella di «rimettere in questione le strutture»… Di fatto, la lotta stessa ha fatto vacillare le certezze, la fiducia delle classi padronali; queste hanno visto nascere e svilupparsi una forza che non ha alcuna intenzione di rientrare nei ranghi! Oggi siamo testimoni senza dubbio dell’inizio di una lotta che si prolungherà per mesi, addirittura per anni, tramite la quale la classe lavoratrice ha ottenuto una serie di risultati ed è riuscita a conquistare posizioni morali e organizzative forti. È su queste ultime che le lotte future faranno leva, e non per «rimettere in questione le strutture del potere neo-coloniale» ma per contestarlo direttamente, per contestare il potere degli sfruttatori e dei grandi proprietari. E per mirare, puramente e semplicemente, a espropriare dalle mani di questa gente i grandi mezzi di produzione, le terre, le imprese e le banche.
Ma questa è una lotta ancora da fare!

Il conflitto che ha avuto luogo in Guadalupa e, più in generale, nelle Antille ha a che fare con una specificità locale o, al contrario, la lezione che possiamo trarne può essere ripresa dai settori più avanzati del proletariato e della gioventù che oggi vogliono che la crisi sia pagata dai padroni e non dai lavoratori e dalle classi popolari?

Certo! La lotta dei lavoratori guadalupesi può senza dubbio essere ripresa anche altrove!
In ogni suo aspetto, essa è stata una lotta di proletari, di salariati, di forze popolari e del lavoro vivo contro gli sfruttatori capitalisti, a cominciare dagli eredi dei béké schiavisti! Si tratta di una battaglia che ha preso la forma di uno sciopero generale, che tutti i proletari del mondo possono recuperare!

[1] Combat Ouvrier è un’organizzazione trotskysta antillese legata all’Unione Comunista Internazionalista (UCI), di cui fa parte Lutte Ouvrière in Francia.
[2] La prima metà degli anni Ottanta è segnata nelle colonie francesi da un forte incremento dello scontro tra forze nazionaliste da una parte e bianchi, lobby coloniali e governo dall’altra. In Guadalupa il clima si inasprisce e settori del nazionalismo radicale portano avanti azioni armate. In Nuova Caledonia si moltiplicano i tafferugli tra Kanaks (melanesiani neri) e Caldoche (bianchi). Nel gennaio del 1985 la polizia francese fredda due militanti del FLNKS (Fronte di Liberazione Nazionale Kanak Socialista), tra cui Eloi Machoro, un suo dirigente. È in questo contesto che scoppia il “caso Faisans”. Militante del MPGI (Movimento per una Guadalupa Indipendente), era stato condannato a tre anni di carcere per aver picchiato nell’ottobre del 1984 un insegnante bianco che aveva dato un calcio a un suo alunno nero. Incarcerato a Fresnes, nei pressi di Parigi, nel giugno del 1985 comincia uno sciopero della fame. Nell’isola la popolazione si identifica con “il caso Faisans” e durante la settimana tra il 22 e il 29 luglio si moltiplicano le manifestazioni e gli scontri per la sua liberazione. Di fronte al rischio di un’esplosione generalizzata, Parigi libera Faisans a fine luglio. Gli avvenimenti dell’estate 1985 costituiranno per chi ci ha partecipato un altro simbolo di lotta contro i soprusi dello Stato coloniale e razzista [NdR].

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